Erano circa le undici del mattino. La zia sedeva sulla veranda al suo solito posto davanti alla finestra spalancata, da cui si godeva un'ottima vista sul cortile. Non a caso quel posto era chiamato «il ponte di comando».
Da lì non solo osservava la vita del cortile, ma non di rado anche vi interveniva, talvolta mutando completamente il corso dell'una o dell'altra battaglia della vita in comune. Čik restava sempre stupito dall'attimo, dall'imponderabile imprevisto che trasformava la zia da spettatrice distaccata e pacificatrice in complice della baruffa.
Una parola da nulla, un gesto sdegnoso poteva funzionare da detonatore per il suo carattere esplosivo. Ma quel giorno, grazie a Dio, in cortile tutto era calmo, e la zia era di umore particolarmente benevolo. Stava bevendo il tè con i pasticcini e le pesche e l'offriva a Evgenija Aleksandrovna, la nuova vicina di cortile, che recentemente era venuta ad abitare là col marito e il figlio Erik.
Anche Čik beveva il tè, ma a differenza della zia, che si era affettata nel bicchiere tutta la pesca gocciolante, che si scioglieva in succo, lui l'aveva mangiata a parte, e adesso prendeva il tè con i pasticcini. A Čik sembrava che anche Evgenija Aleksandrovna avrebbe voluto mangiare la sua pesca a parte, ma la zia gliela aveva affettata personalmente nel bicchiere, dicendo che il tè con la pesca è una prelibatezza specialissima.
Alla zia in generale piaceva bere il tè. Come del resto il caffè. Però al tè, a differenza del caffè, aggiungeva sempre qualcosa. Se c'erano limoni, beveva il tè col limone; se non c'erano limoni, lo beveva con i mandarini, con le mele, con le fragole, oppure, come ora, con le pesche.
Come Čik anche lo zio Kolja, che sedeva in un angolo della veranda a un tavolino separato, si era bevuto il suo tè con i pasticcini, e la pesca se l'era mangiata a parte. A tutti era toccata una pesca, ma nel portafrutta, che stava proprio davanti a Čik, ne era rimasta ancora una, e Čik era seriamente impensierito dal suo destino: a chi sarebbe toccata?
La zia pareva essersene dimenticata, ma lui non osava prenderla da solo, perché la zia avrebbe potuto bloccare il suo tentativo e, senza lasciarsi intimidire dalla presenza di quella signora poco conosciuta, fargli fare una figuraccia.
Per richiamare l'attenzione della zia su quella pesca inutilizzata, Čik ne aveva ripetutamente scacciato le mosche, e una volta anche una vespa stizzita. Si aspettava che la zia vi facesse caso e alla fine dicesse: «Mangia quella pesca, Čik, che altrimenti attira le mosche!»
Ma la zia, presa dalla conversazione, non si accorgeva di lui, e il destino dell'ultima pesca restava incerto.
Ancor più che dal destino della pesca, Čik era impensierito dalla necessità di chiedere alla zia il permesso di andare al mare. E non era solo Čik ad aspettare, ma, si può dire, tutta la sua banda. Se la zia avesse dato a Čik l'autorizzazione, tutti gli altri genitori avrebbero fatto altrettanto.