E benché la tradizione storiografica nei passati decenni sia andata per la sua strada e abbia toccato i temi più diversi, benché i testimoni della rivoluzione siano morti e in Russia già da tempo non si festeggino più gli anniversari della presa del potere dei bolscevichi, abbiamo ancora la sensazione che quella svolta vecchia di un secolo continui a influire sulla contemporaneità.
Il titolo di questa introduzione, che rimanda a quello del noto libro del giornalista americano John Reed, I dieci giorni che sconvolsero il mondo (pubblicato la prima volta nel 1919), non è stato scelto per considerazioni estetiche o ideologiche, ma per ragioni puramente funzionali. Sono convinto che la rivoluzione russa sia stata un grave sconvolgimento i cui oggetti (e co-artefici) furono innanzitutto gli abitanti della Russia – partecipanti volontari o involontari, testimoni oculari degli eventi del 1917. Dalla prospettiva della storia quotidiana e culturale è assolutamente evidente che i testimoni e gli attori della rivoluzione la videro, la percepirono e la vissero in modo completamente diverso dai posteri, consapevoli di quanto accadde dopo: |
Per gli abitanti della Russia rivoluzionaria la consueta vita quotidiana, fatta di raccolti, nozze, piccole gioie e dispiaceri privati, era più importante di qualsiasi avvenimento esterno al loro mondo, per quanto grande quell’avvenimento potesse apparire ai contemporanei impegnati politicamente e ai posteri informati. Proprio per questo la rivoluzione, irrompendo prepotentemente nella vita dei contemporanei, raggiunse le dimensioni e le caratteristiche di una catastrofe, a cui molti non sopravvissero, mentre quelli che sopravvissero ne uscirono ormai diversi.
Lo storico contemporaneo non può più illudersi, come ci si illudeva nel XIX secolo, di descrivere il passato come fu nella realtà. Probabilmente deve limitare le sue ambizioni al tentativo di avanzare ipotesi su ciò che può essere accaduto agli uomini del passato. Quanto è descritto più avanti non riproduce nessun reale destino umano, ma permette solo di tracciare, parlando per immagini, i limiti generali della scena, un abbozzo del fondale, le linee fondamentali del copione che volenti o nolenti possono aver seguito gli eroi del dramma rappresentato. Bisogna inoltre tenere presente che si potrebbe variare il numero e l’interconnessione dei parametri della “catastrofe” descritti più avanti (ciò che avrei fatto con una diversa impostazione dei problemi o un altro genere di esposizione), giacché lo storico non descrive né ricostruisce, ma rappresenta e costruisce il passato. Non i politici, ma lui, lo storico, fa la storia. |