Introduzione

Nelle sue memorie il console britannico George Buchanan riporta una frase pronunciata da un soldato russo nei giorni della rivoluzione: «Sì, abbiamo bisogno della repubblica, ma a capo dev’esserci uno zar buono». Il giudizio, che il diplomatico percepiva come un ossimoro, confermava la sua opinione riguardo alla strana cultura politica del paese in cui risiedeva: «La Russia non è matura per una forma di governo puramente democratica…».
Analoghe affermazioni sono citate anche nei diari degli osservatori stranieri, che tendevano a dipingere una Russia ancora più esotica di quanto non fosse: che i suoi abitanti aspirassero ad avere «una repubblica democratica con uno zar buono» non faceva che avvalorare questa idea. Anche i bollettini della censura militare russa citano lettere di soldati: «Vogliamo la repubblica democratica e uno zar-padre per tre anni». «Sarebbe bello se ci dessero la repubblica con uno zar in gamba»; «Hanno rovesciato lo zar dal trono, adesso c’è un nuovo governo, non è male, si può vivere, ma quando eleggeranno uno zar, e davvero bravo, sarà ancora meglio». Un addetto alla censura traeva questa conclusione: «In quasi tutte le lettere dei contadini si esprime il desiderio di vedere uno zar a capo della Russia. Evidentemente la monarchia è l’unico sistema di governo accessibile alla mentalità contadina».
È improbabile che quei contadini e quei soldati fossero monarchici convinti: dopotutto volevano limitare il periodo di governo dello zar, ne prevedevano l’elezione. Si può piuttosto supporre che considerassero sinonimi le parole «Stato» e «regno», e che faticassero a immaginare uno Stato senza «sovrano», senza un capo di Stato forte. Dopo la caduta della monarchia i soldati si rifiutavano di giurare fedeltà al Governo provvisorio, perché l’accenno stesso allo «Stato», nel testo del giuramento, era ritenuto un’implicita professione di monarchismo. Gridavano: «Noi non abbiamo uno Stato, abbiamo la repubblica».
Si può supporre che i soldati che sognavano la «repubblica democratica» con uno «zar buono» desiderassero instaurare una repubblica presidenziale con estesi poteri del capo dello Stato, ma non sapessero formulare esattamente il loro ideale di organizzazione statale, giacché non padroneggiavano il necessario lessico politico: non sapevano come esprimere il loro «repubblicanesimo» autoritario. Ma non soltanto le persone poco istruite faticavano a «tradurre» i loro ideali nel linguaggio della politica contemporanea: erano in molti a non trovare le parole necessarie per descrivere una realtà inconsueta e in rapido mutamento.
Questi esempi danno un’idea della complessa situazione in cui vennero a trovarsi gli ex sudditi dello zar, una volta diventati cittadini della nuova Russia: gli appelli politici loro rivolti avevano bisogno di «traduzione», il che portò alla comparsa di numerosi «dizionari politici», molto richiesti dai lettori.
La monarchia poteva suscitare sentimenti diversi, ma era qualcosa di familiare. La lingua per descrivere il potere zarista, i modelli di atteggiamento verso l’imperatore, perfino la gamma di emozioni che doveva suscitare: tutto si tramandava in vari modi di generazione in generazione.